mercoledì 18 settembre 2013

Attraverso il rugby insegno ai bambini il vero senso dello sport


Il rugby alle elementari per insegnare il fair play, la correttezza e il rispetto nello sport. «Perché, come dico sempre ai miei bambini, dall’altra parte della palla non c’è l’avversario, ma il compagno di gioco. In campo si deve cercare la vittoria ma senza mai prevaricare. Finiti i due tempi dell’incontro nel rugby c’è infatti il “terzo tempo”, che incarna e spiega lo spirito di questo sport, quel “terzo tempo” in cui i giocatori delle due squadre vanno a mangiare e a festeggiare insieme». Walter Brandani (www.walterbrandani.it), autore di saggi su scuola ed educazione, insegna alla primaria di Cogliate (Mb) e da cinque anni allena una squadra formata dai bimbi della sua e delle altre classi delle elementari. Un’esperienza unica in Lombardia, che ha fatto sbocciare in tanti giovanissimi l’amore per lo sport nella sua accezione più bella e sana.
Come è nato questo progetto?
«Il progetto è scaturito dal desiderio di avvicinare i bambini alla pratica sportiva, e di farlo nel modo giusto. Il rugby è uno sport che amo e che mi consente di trasmettere i sani principi del rispetto, della lealtà e dell’amicizia. E’ stato così naturale per me proporlo ai bambini della mia classe e di tutta la primaria dell’Istituto “Battisti”: i piccoli possono partecipare a uno o due allenamenti pomeridiani alla settimana, in palestra o al campo sportivo, e l’iniziativa è gratuita».
Un’idea inusuale, come è stata accolta?
«All’inizio con qualche esitazione. Poi gli alunni che hanno provato si sono divertiti ed è partito il passaparola. I genitori hanno apprezzato soprattutto il fatto che il risultato non fosse la cosa più importante, come succede nelle società sportive. Nella squadra della scuola l’obiettivo è lo sviluppo psicofisico del bambino, quindi giocano tutti, bimbi e bimbe, più bravi e meno bravi, per divertirsi e stare insieme. In due anni il progetto è decollato, tanto che la Federazione Italiana Rugby ha riconosciuto la squadra dei piccoli scorpioni di Cogliate (lo stemma scelto dai bimbi) dando loro la possibilità di gareggiare con le società sportive. Anche se i miei giocatori in campo non mi chiamano allenatore, ma maestro. E’ l’unica esperienza di questo tipo in Lombardia: non una società sportiva che entra nella scuola, ma la squadra della scuola che si sostituisce alla società, e oggi abbiamo una cinquantina di bambini che si allenano».
Mamme e papà non hanno paura che i loro figli possano farsi male in uno sport nel quale il contatto fisico è così diretto?
«No, non più di tanto. In cinque anni nessun bambino ha mai avuto infortuni in campo anche se qualche colpo è inevitabile e ogni tanto si deve star fermi una domenica».
Dopo le partite anche voi fate il “terzo tempo”?
«Naturalmente. Il rugby è uno sport di contatto e proprio per questo, come tutti gli sport di contatto, richiede un grande rispetto. Purtroppo spesso nello sport si pensa solo a vincere. Non deve essere così: come si gioca, come ci si comporta in campo è più importante. Spesso sono proprio i genitori a spronare i bambini, a volere dei piccoli campioni, soprattutto nel calcio. Nel rugby per fortuna i genitori all’inizio capiscono poco, e quando iniziano a capire entrano anche loro nello spirito di questa disciplina, che è appunto quello del fair play. Certo che facciamo il terzo tempo: le due squadre dopo l’incontro fanno una bella merenda insieme. E siccome il minirugby non è così conosciuto capita anche che una squadra non abbia abbastanza giocatori per scendere in campo, e allora il team “avversario” presta qualche giocatore e la partita si fa lo stesso: l’importante è divertirsi insieme».
 
Sport e scuola, come vede la realtà italiana?
«Purtroppo siamo all’età della pietra, sia per quel che riguarda la cultura dello sport sia per quel che riguarda le strutture. Mancano spazi e tempo: ci sono scuole primarie che non hanno palestre e l’educazione fisica è relegata a due misere ore alla settimana. Poi molto dipende dagli insegnanti, dalla loro preparazione e motivazione. Nei Paesi anglosassoni le cose sono diverse, lo sport per i ragazzi significa soprattutto scuola, le società vengono dopo. Eppure sarebbe così importante per i bambini muoversi e allenarsi, soprattutto oggi: un tempo i ragazzini giocavano in cortile, si spostavano a piedi o in bici… oggi i giochi di cortile sono quasi spariti e i genitori hanno spesso paura – anche a ragione – di mandare in giro i figli da soli. E così i bambini non si muovono più, e anche l’apprendimento può diventare più difficoltoso, spesso i piccoli che non fanno attività fisica diventano più pigri anche sul piano intellettuale».
Che cosa consiglierebbe a un genitore che vuole far praticare uno sport a suo figlio? Come scegliere? Come orientarsi?
«Credo che la cosa più importante non sia scegliere il tipo di disciplina ma le persone: ci si deve assicurare che si tratti di un ambiente positivo, che aiuti il piccolo a riflettere sulle regole, sulla sconfitta, sul valore della gara, che gli dia l’opportunità di confrontarsi con valori quali l’amicizia, la solidarietà, la lealtà, la fiducia in sé e negli altri. Se il bimbo capita in un ambiente negativo, se viene umiliato perché la sua prestazione non risponde alle aspettative può allontanarsi dallo sport, perdendo un’occasione importante. Proprio questi argomenti verranno affrontati il 13 aprile alle 21, al Centro culturale “Ferraroli” di Cogliate di piazza Giovanni XXIII, nella conferenza “Educare con lo sport”. Relatore sarà Raffaele Mantegazza, professore di Pedagogia all’Università di Milano Bicocca. In questo incontro vorremmo riflettere su come i più piccoli vivono lo sport chiedendoci, soprattutto, se ci sono e quali sono le proposte sportive davvero a misura di bimbo».

Laura Zoccoli
cheforte.it

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